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TEMI D’ATTUALITÀ | Articolo - 5 Min

Weekly market update – Ampliare gli orizzonti

Uno sviluppo degno di nota dall’inizio di febbraio è stata la revisione al rialzo del “tasso terminale”, ovvero il livello massimo a cui si prevede che le banche centrali abbiano aumentato i loro tassi di riferimento alla fine del ciclo di inasprimento. Se a ciò si aggiungono alcuni indicatori inaspettatamente positivi sulla crescita, le incertezze sul ritmo dell’inflazione e sulla probabilità (o meno) di una recessione, è difficile elaborare uno scenario ampiamente condiviso rispetto al quale intraprendere le decisioni di allocazione degli investimenti.

Molto probabilmente gli investitori giungeranno alla conclusione che un inasprimento della politica monetaria – specialmente se così brusco come quello avvenuto nella seconda metà del 2022 – provoca in genere recessione, più o meno profonda, più o meno duratura.

Notizie sorprendentemente positive sul fronte crescita

Dall’inizio dell’anno gli indicatori economici hanno sorpreso al rialzo, mettendo in discussione lo scenario di recessione per il 2023 ampiamente diffuso lo scorso autunno.

Se per recessione si intende un peggioramento dei dati sull’occupazione nell’arco di diversi trimestri, restiamo convinti che questa eventualità non sia del tutto scongiurata. L’attuale rapido ritmo di creazione di posti di lavoro e il tasso di disoccupazione molto basso negli Stati Uniti riflettono uno squilibrio nel mercato del lavoro che è incompatibile con un rallentamento sostenuto dell’inflazione (core) verso il target del 2,0% fissato dalla Federal Reserve (Fed).

Se invece scegliamo di definire una recessione come un minimo di due trimestri consecutivi di contrazione del PIL, allora l’Eurozona potrebbe ancora sfuggirle, proprio come è accaduto l’autunno scorso, quando gli economisti prevedevano una recessione già nel terzo trimestre del 2022.

Secondo le stime, nel quarto trimestre del 2022 il PIL dell’Eurozona è cresciuto dello 0,1% (dopo lo 0,3% del terzo trimestre). Tuttavia, la composizione di questa crescita è stata debole, come si evince, ad esempio, dal calo dei consumi delle famiglie francesi.

In alternativa, potremmo decidere di giudicare lo stato dell’economia anche attraverso i sondaggi sulla fiducia di famiglie e imprese. In questo caso, visto il continuo miglioramento degli indici dei responsabili degli acquisti (PMI) e la ripresa dell’indice tedesco sul clima economico IFO, si è propensi a credere che l’economia globale possa addirittura registrare una forte ripresa.

In effetti, i PMI compositi dell’Eurozona e del Giappone rimangono al di sopra del 50, segnalando un’espansione, e anche quelli di Regno Unito e Stati Uniti sono tornati a superare la famigerata soglia. Sono livelli che non si vedevano da otto o nove mesi.

Questi miglioramenti nei sondaggi e la resilienza dell’attività economica ai venti contrari, come la crisi energetica in Europa, hanno innescato una revisione al rialzo delle prospettive di crescita per il 2023, alimentando l’ottimismo generale.

Domande sull’inflazione

La normalizzazione delle catene di approvvigionamento globali, il calo dei costi di spedizione e la riduzione dei prezzi delle materie prime hanno contribuito a rallentare l’inflazione primaria nei paesi dell’OCSE, facendola scendere da un picco del 10,8% a ottobre al 9,4% di dicembre – il valore più basso dall’aprile 2022.

D’altro canto, l’inflazione core resta a livelli ostinatamente elevati e continua a preoccupare. Nell’Eurozona, il tasso al netto di generi alimentari ed energia si è stabilizzato al 5,2% a gennaio. Negli Stati Uniti, l’inflazione core dei servizi al netto delle abitazioni si aggira ancora intorno al 4,0% rispetto al 2,0% del periodo pre-pandemia.

È su questi dati che si focalizzerà probabilmente l’attenzione degli investitori, soprattutto il mese prossimo, quando la BCE (il 16 marzo) e la Fed (il 22 marzo) pubblicheranno le loro previsioni macroeconomiche sull’inflazione sottostante.

A dicembre, le previsioni erano del 3,5% alla fine del 2023 per l’inflazione core della spesa al consumo personale (PCE) negli Stati Uniti e del 4,2% nel 2023 per l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC) al netto di energia e generi alimentari nell’Eurozona.

Se il mese prossimo questi dati dovessero subire una correzione al rialzo, sarebbe sicuramente una mossa “da falco”.

Per mesi la BCE ha ripetuto che una recessione non basterebbe a frenare l’inflazione. A febbraio, il membro del Comitato esecutivo, Isabel Schnabel, ha ribadito che “nella zona euro un ampio processo di disinflazione non è nemmeno iniziato” e che “i tassi dovranno rimanere elevati finché non si avranno prove concrete di un ritorno tempestivo e permanente dell’inflazione sottostante al target”.

Negli Stati Uniti, dai verbali delle discussioni del Federal Open Market Committee (FOMC) del 1° febbraio, pubblicati questa settimana, emerge come secondo molti membri del Comitato “un orientamento politico non abbastanza restrittivo potrebbe compromettere i recenti progressi nella moderazione delle pressioni inflazionistiche, portando l’inflazione a rimanere più a lungo al di sopra del target del 2% fissato dal Comitato, con il rischio che le aspettative inflazionistiche possano disancorarsi”.

È questa la sfida principale che le banche centrali – e gli investitori – dovranno affrontare nei prossimi mesi: come bisogna reagire quando l’economia rallenta ma l’inflazione resta elevata?

Mercati diversi, climi diversi

Gli ulteriori adeguamenti alle aspettative di incremento dei tassi di riferimento hanno spinto fortemente al rialzo i rendimenti dei titoli di Stato dall’inizio di febbraio, con i decennali statunitensi e tedeschi che si sono avvicinati o hanno addirittura superato le rispettive soglie simboliche del 4,00% e del 2,50%.

Questi ingenti movimenti possono giustificare delle variazioni tattiche nel posizionamento di un portafoglio – ad esempio un ritorno alla neutralità o magari anche una sovraponderazione del rischio di tasso d’interesse – ma gli investitori non devono premere troppo sul pedale del freno. I fattori tecnici, come le ingenti emissioni di titoli sovrani dell’Eurozona e la “spada di Damocle” del tetto del debito negli Stati Uniti, finiranno per pesare sul sentiment dei mercati.

I movimenti degli indici azionari possono essere interpretati come un ostacolo al tanto auspicato scenario di “atterraggio morbido”, ma riflettono anche le preoccupazioni per una possibile recessione causata dall’attuale stretta monetaria.

In effetti, con la stagione delle pubblicazioni negli Stati Uniti ormai pressoché conclusa, gli analisti finanziari hanno rivisto al ribasso le stime sugli utili. Per lo S&P 500, nel 2023 si prevede un calo del 10% degli utili per azione (EPS).

D’altra parte, il rapporto di revisione degli utili sembra minimo, a significare che gli analisti non si aspettano una recessione duratura e hanno già tenuto conto di una ripresa dell’attività.

In altre parole, per gli investitori azionari la funzione di reazione delle banche centrali sembra chiara: se ci sarà davvero una recessione, bisognerà tagliare rapidamente i tassi di riferimento per sostenere l’economia.

L’unico problema è che il messaggio dei banchieri centrali non è esattamente questo.

Asset allocation

Dopo un forte rimbalzo a gennaio e una certa esitazione a febbraio, che riflette l’evoluzione del consenso, non ci sentiamo di elaborare uno scenario certo né di assumere posizioni particolari in un’ottica di lungo periodo.

Nei prossimi mesi sarà fondamentale cogliere le opportunità offerte dai rapidi movimenti azionari e obbligazionari o dagli improvvisi aggiustamenti dello scenario economico.

Alla fine la recessione potrebbe arrivare davvero, anche se a nostro avviso sarà modesta. Tuttavia, è probabile che gli investitori fatichino a definirne le tempistiche, il che nel frattempo potrebbe aggravare la volatilità del mercato.

La componente azionaria dei nostri portafogli è complessivamente neutrale. Abbiamo leggermente ridotto la sovraponderazione azionaria negli Stati Uniti per trarne profitto: la stagione degli utili ha infatti dimostrato che i margini di alcune società statunitensi si sono contratti. A seguito di questa decisione, anche l’esposizione al rischio nella nostra asset allocation si è ridimensionata.

La posizione complessivamente neutrale è il risultato di un posizionamento geografico nettamente contrastante.

Da un lato, il sovrappeso in azioni dei mercati emergenti si basa in gran parte sulla convinzione che la riapertura dell’economia cinese farà aumentare le valutazioni.

Dall’altro, sottopesiamo le azioni dell’Eurozona, le cui valutazioni ci sembrano eccessive dopo l’impressionante rally di gennaio e non riflettono adeguatamente i rischi futuri.

Disclaimer

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